Trappola mortale: come l’interdittiva antimafia uccide gli imprenditori


Pubblicato il 07 Marzo 2019

 

Ecco le riflessioni di un penalista sulla interdittiva antimafia che traggono spunto dal suicidio dell’imprenditore gelese Rocco Greco.

 

Trappola mortale : come l’interdittiva antimafia uccide gli imprenditori

Ho sentito poco tempo addietro un Magistrato tra i più noti e apprezzati in Italia dire : “chi viene risarcito per la ingiusta detenzione è uno che l’ha fatta franca”.

Il pensiero sotteso a questa squallida affermazione è che tutte le sentenze di assoluzione, certamente quelle che conseguono ad una sofferta custodia cautelare, sono sbagliate perché l’Accusa ha sempre ragione e chi sbaglia sono i Magistrati della Giudicante che si arrogano, ogni tanto, il diritto di emettere verdetti di assoluzione.

Comunque, si rassereni l’Illustre Magistrato: nel nostro paese le sentenze di assoluzione non godono di alcun rispetto, particolarmente quando riguardano soggetti, per lo più imprenditori, coinvolti in processi di mafia in qualità di partecipi o concorrenti esterni.

Per costoro e per le loro imprese, che vi sia stata una sentenza di condanna o di assoluzione, poco cambia.

Se, infatti, dopo tre lunghi gradi di giudizio riescono “a farla franca” per loro inizia il calvario della misura di prevenzione che non richiede, come il giudizio di merito, che venga provata la responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio per incollare l’indelebile marchio di mafiosità ma si accontenta del semplice sospetto generato dagli stessi elementi che il Giudice del processo non ha potuto giudicare idonei per la condanna.

Alla proposta misura di prevenzione segue il sequestro di tutto ciò che è nella disponibilità del proposto e dei suoi familiari, l’impresa viene affidata ad uno o più amministratori giudiziari e, qualora l’imprenditore nel corso del giudizio non riesca a dimostrare la legittima provenienza di tutti i beni se ne presume la derivazione da proventi illeciti rivenienti da contatti con associazioni criminali.

La conseguenza è l’applicazione di una misura personale (obbligo di soggiorno nel Comune di residenza fino a tre anni) e patrimoniale (confisca dell’intero patrimonio).

Qualora l’imprenditore invece, già sfibrato dai lunghi anni del processo di merito, riuscisse (ma ci vuole un fisico bestiale!) a dimostrare la legittimità di tutto il suo patrimonio in altri tre gradi di giudizio ed a sopravvivere fisicamente ed economicamente, scatta la trappola mortale: l’interdittiva antimafia.

Trattasi di un procedimento amministrativo affidato alla discrezionalità assoluta di soggetti non qualificati e con nessuna competenza in materia.

Qualunque burocrate, funzionario di Prefettura, in seguito ad una richiesta di iscrizione nella white list o di partecipazione dell’impresa ad una gara pubblica, istruendo la pratica si imbatte inevitabilmente (basta cliccare sul computer) nei precedenti giudiziari del malcapitato imprenditore.

Il burocrate, colpito dal coinvolgimento dell’imprenditore in una operazione antimafia denominata sempre in modo originale da coloro che hanno svolto le indagini, ne rimane malamente impressionato e l’istruttoria della relativa pratica avrà un solo esito: la fine di quella impresa.

A nulla varranno le sentenze di assoluzione, né il decreto di annullamento della misura di prevenzione, né la riparazione per ingiusta detenzione che diligentemente gli avvocati produrranno al burocrate convinti di avere con ciò dimostrato l’assoluta estraneità del loro assistito “certificata” da ben ventiquattro Magistrati ( tanti saranno stati, infatti, quelli succedutisi nei vari gradi del giudizio di merito e in quello di prevenzione). Il Burocrate non cambierà idea.

E sapete perché? Perché se il processo invoca una prova di colpevolezza che vada al di là del ragionevole dubbio e la misura di prevenzione che venga fugato il sospetto, la interdittiva antimafia è il nulla: la valutazione del Prefetto richiede soltanto la presenza di elementi in base ai quali non sia illogico ritenere che l’impresa possa subire condizionamenti o infiltrazioni mafiose. (CGA Sicilia sent. 560/2013).

Gli effetti della interdittiva che verrà ineluttabilmente adottata sono a dir poco devastanti e peggiori di ciò che non è stato ma che avrebbe potuto essere negli altri giudizi : revoca immediata di tutti i contratti di appalto in essere tra l’impresa ormai considerata mafiosa che è ormai destinata al fallimento con buona pace dei dipendenti (a volte di numero assai ragguardevole) che andranno a incrementare le fila dei tanti disoccupati.

Trattandosi di un procedimento amministrativo, il battagliero imprenditore avrà la possibilità di impugnare la misura interdittiva inflittagli dinanzi al TAR, Tribunale certo non esperto in materia che rigetterà con una motivazione standard richiamando la giurisprudenza, ormai costante, sulla assoluta discrezionalità del Prefetto in materia di interdittiva antimafia.

Si rassereni Dottore, sono pochi quelli che “la fanno franca” anche se, forse, dovrebbe preoccuparsi un po’ anche di quelli che, esasperati, la fanno finita.

 

Avv. Rosario Pennisi.

(penalista)


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