Trasporti siculi, Fontanarossa ai privati: la Lega ribadisce il suo “No”


Pubblicato il 28 Novembre 2019

Sul futuro dello scalo di Fontanarossa il dibattito è ancora aperto. La procedura che porterà alla privatizzazione va avanti, ma dal mondo politico le perplessità si rinnovano. Come nel caso della Lega. Con l’avv. Piero Lipera, assessore a Motta S.Anastasia, si ribadisce questa posizione contraria. Ecco quanto ha scritto in questi giorni e nel recente passato.

QUESTO CENTRODESTRA SICILIANO PREMIA I GRANDI GRUPPI INDUSTRIALI, PRIVANDOSI DI UN ASSET FONDAMENTALE PER L’OCCUPAZIONE, IL TURISMO E LA CRESCITA ECONOMICA DELLA REGIONE: VERGOGNA!

La Lega, più volte, si è dichiarata totalmente contraria alla privatizzazione della SAC.

Questa posizione è stata del tutto inascoltata, così SAC, il cui Presidente, nominato al tempo del Governo Crocetta, con l’avallo della super camera di commercio, del governo regionale ed il comune di Catania, tramite i loro rappresentanti, seduti in CdA, hanno detto sì alla cessione delle quote in favore di privati.

Questo atto segna adesso un profondo solco, perché programmatico ed ideologico, con tutto questo attuale centrodestra siciliano, che sembra decisamente più interessato a promuovere gli affari e la ricchezza per i grandi gruppi imprenditoriali che distribuire opportunità di lavoro per i cittadini siciliani.

Piero Lipera“.

Già nel giugno del 2018 Lipera aveva ribadito questa posizione. Ecco il testo:

ATTENZIONE A PRIVATIZZARE L’AEROPORTO DI FONTANAROSSA, SI RISCHIA UN COLOSSALE ERRORE CHE PAGHEREMO PER GENERAZIONI

È in corso il dibattito circa l’intenzione – anzi la smaniosa voglia – di vendere a privati l’Aeroporto di Fontanarossa e di conseguenza anche la relativa società di gestione (SAC, Società Aeroporto Catania SpA).È evidente che coloro che sostengono questa tesi, o non sanno, o sottovalutano, i pessimi risultati che nell’ultimo ventennio hanno provocato le privatizzazioni dei beni pubblici e comuni che un tempo erano di proprietà dello Stato.

Infatti è ormai dimostrabile che l’idea per cui le liberalizzazioni e le privatizzazioni portino benefici all’economia è nella maggioranza dei casi una distorsione della realtà.

In verità gli effetti di questa pratica – la privatizzazione di enti pubblici – sono stati così riassunti:

1) Aumento dei prezzi (pagato ovviamente dal fruitore);

2) Riduzione di posti di lavoro;

3) Abbassamento degli stipendi dei lavoratori;

4) Concentramento di capitale in poche e ricchissime mani;

A questo aggiungo una brevissima premessa storica per i più giovani, perché il processo di liberalizzazioni-privatizzazioni iniziò in Italia nel 1992.

Motivazione ufficiale che portò a questa fase di stravolgimento degli assetti proprietari dell’impresa pubblica nazionale fu quella dell’elevato debito pubblico (dello Stato ovviamente e non di quelle società pubbliche poi privatizzate), considerato fuori controllo e che perciò andava in ogni modo ridotto.

A ciò si aggiungeva e si legava la questione di garantire una maggiore “libertà” del mercato che si scontrava con la preminente presenza pubblica in settori strategici e non.

I risultati dell’attuazione di queste misure nel breve periodo li conosciamo tutti e sono visibili sia ai ciechi che ai sordi: i quattro punti sopra elencati.

Corre l’obbligo morale di ricordare ed evidenziare che oltre alla riduzione dei posti di lavoro, seguita dalle procedure di mobilità e prepensionamento, si aggiunsero anche:

1) Il costante depauperamento dei beni aziendali: spesso svenduti ad “amici” privati (il caso emblematico e paradigmatico si ebbe con il brillante Marco Tronchetti Provera, il quale nella qualità di amministratore delegato di Telecom SpA svendette a Pirelli Re-Franchising gli immobili di Telecom per affittarli successivamente alla stessa Telecom);

2) L’aumento verticale ed esponenziale dei compensi degli amministratori delegati e dei dirigenti “esterni” (oggi infatti un dirigente guadagna quasi il 431% in più rispetto ad un impiegato);

Ora, tornando al caso di specie – la privatizzazione dell’aeroporto di Fontanarossa – non si comprende quale sia il reale interesse che la classe politica locale, da un lato, e le Camere di Commercio, dall’altro, abbiano nel volere la dismissione di questo bene strategico, centrale e strutturale, per lo sviluppo economico-turistico della Sicilia in generale e della città di Catania in particolare.

Il Presidente della Camera di Commercio del Sud-Est, Piero Agen, per il quale nutro grande stima, nonostante la divergenza di opinione, non ha nascosto il suo intendimento, ovvero: vendere a privati le quote di proprietà della Camera di Commercio (oggi azionista in SAC) e tramite i ricavi di questa vendita azzerare i debiti che le tre camere di commercio riunite (Catania, Siracusa e Ragusa) hanno maturato nell’arco dei decenni passati.

Il paradosso, evidente a chiunque, è che i debiti delle tre camere di commercio non hanno nulla a che vedere con la gestione dell’aeroporto: perché sono debiti generati dall’attività e dall’istituzione delle stesse camere. E pertanto non si capisce perché a pagare il debito delle camere debbano essere i catanesi, alienandosi un bene che è stato costruito e gestito tramite soldi pubblici e cioè tramite il pagamento delle tasse dei cittadini.

Agen, in verità pone una seria critica alla gestione pubblica, quando accusa l’aeroporto e la SAC (la società di gestione concessionaria dei servizi aeroportuali) di essere sempre stati utilizzati dalla politica locale con una visione prettamente clientelare.

In altre parole e senza girarci intorno, dice perciò che l’aeroporto è stato un carrozzone, preposto ad assumere “persone utili” solo ai fini elettorali e giammai per le specifiche competenze professionali, il tutto ovviamente a discapito dello sviluppo dell’aeroporto.

Su questo ultimo punto Agen ha ragione da vendere.

Tuttavia, cedere ai privati lo scettro di controllo dello strumento più importante per lo sviluppo economico e turistico significherebbe lasciare all’arbitrio dell’interesse privato le sorti del nostro futuro.

Fontanarossa è un aeroporto in crescita. Conseguenza immediata: il turismo locale in questi ultimissimi anni riesce, grazie anche ad una serie di congiunture favorevoli, a battere ogni record di visita e di permanenza.

A riprova, in una recente conferenza stampa il management della SAC ha snocciolato “numeri e utili di esercizio importanti, considerando si tratti poi di un’azienda pubblica … Il valore della produzione negli ultimi due anni è cresciuto del 13%: siamo passati da 69 milioni di euro nel 2015, a 75 milioni nel 2016, agli oltre 84 milioni del 2017”. In crescita anche i ricavi nei settori aviation (+13%) e non aviation (+11%).

Privatizzare significherebbe capitalizzare immediatamente questa crescita e anche alleggerire i debiti delle casse dei diversi enti pubblici proprietari della SAC, ma dall’altro: lascerebbe in via esclusiva al privato l’iniziativa su ogni scelta strategica e politica sul territorio.

Nel brevissimo periodo il privato potrebbe anche decidere di diminuire il personale attualmente operativo che, per le ragioni clientelari sopra accennate, è certamente superiore rispetto alle reali esigenze.

Il privato infatti persegue sempre un interesse: il suo.

Per tale interesse, punterebbe da subito al raggiungimento di due obiettivi indissolubili: aumento dei ricavi e abbassamento dei costi.

Chiaro che l’aumento dei ricavi potrebbe avvenire soltanto in due modi, o tramite un aumento del traffico o tramite un aumento delle tariffe aeroportuali, ma queste ultime graverebbero sulle compagnie aeree, scoraggiandole quindi dallo scegliere Catania come destinazione. L’ultima ipotesi è quindi assolutamente da escludere, perché nessuna società andrebbe contro i propri interessi commerciali.

Bene, è lapalissiano allora che l’unico modo per aumentare i margini di profitto sarebbe quello di ridurre i costi di gestione.

Tutti sanno che il costo del lavoro del personale di un’azienda di servizi è la maggiore voce in bilancio e perciò ben si potrebbe ipotizzare che a privatizzazione avvenuta, il nuovo corso darebbe luogo dapprima a procedure di mobilità e poi di licenziamento per tutto il personale ritenuto in esubero.

Nella ipotesi peggiore, qualora quindi il flusso di viaggiatori per qualunque causa dovesse diminuire, nessuna forza politica locale sarebbe più in grado di ostacolare il privato dall’idea di procedere ad altre e drastiche riduzioni di personale, per accedere poi a forme contrattuali di lavoro di tipo precario, part-time e stagionale.

Inoltre, questione non da poco e talvolta solo accennata, si porrebbe definitivamente una pietra tombale sulla possibilità di un reale sviluppo edilizio della zona sud di Catania.

Secondo alcuni prestigiosi urbanisti locali la localizzazione dell’aeroporto in quel di S.G. La Rena ha fino ad oggi impedito lo sviluppo residenziale e commerciale di tutta quell’area, la zona della Playa in primis.

Tant’è che a causa della stazione aeroportuale è assolutamente vietato, perché contrario alla normativa urbanistica in vigore, costruire complessi edilizi di una certa elevazione. Tradotto: le grandi catene alberghiere non verranno mai ad investire a Catania, zona Playa, proprio perché a causa della presenza dell’aeroporto è impedito costruire alberghi consoni all’attività turistica.

Qualcuno, e a buon ragione, aveva teorizzato la costruzione di un grosso HUB nella zona della piana di Catania, unitamente al trasferimento dell’aeroporto di Fontanarossa.

L’idea, anche se ai più sarà sembrata balzana, avrebbe finalmente tolto il tappo e consentito la crescita urbanista della zona sud di Catania; avrebbe altresì consentito una vera appetibilità per gli investimenti da parte delle catene alberghiere sul litorale Playa, il quale, privato degli attuali vincoli urbanistici, avrebbe potuto ospitare ogni sorta di costruzione e dulcis in fundo: avrebbe dato slancio economico ad una zona della provincia (quella del calatino) gravemente depressa sul piano economico (tutti sappiamo bene che la stagione d’oro dell’agricoltura e del comparto agrumicolo è da tempo tramontata e archiviata).

Allora che fare?

Anziché cedere all’arbitrio interessato dei privati le scelte del nostro futuro economico-turistico, dovremmo moralizzare ancor di più i nostri i governanti locali. Non possiamo infatti abdicare a dire la nostra sul nostro futuro (perché non dimentichiamolo: noi siamo rappresentati mediante le istituzioni elettive e democratiche, non dall’economia e/o dai consigli d’amministrazione delle società di capitali).

Per non dire che una cessione sbagliata, magari ad un soggetto non moralmente qualificato, oltre a portare quell’azienda al fallimento potrebbe tirarsi dietro di sé tutta la città di Catania e la Sicilia Orientale, una volta considerato l’indotto del settore turistico.

È questo un rischio enorme e che non possiamo permetterci di correre. Non dobbiamo certamente omologarci a quanto avviene in altre città, solo per poter dire: “sì, anche noi catanesi facciamo le privatizzazioni”.

L’aeroporto di Fontanarossa fu costruito grazie ad una illuminata volontà politica, nei decenni poi è stato implementato grazie agli investimenti, soprattutto pubblici, che lo hanno reso quel fiore all’occhiello dell’economia locale, ed è per queste ragioni che oggi fa gola ai così detti advisors internazionali.

Si vorrebbe pertanto privatizzare e perdere per sempre, ciò che tutti i catanesi hanno contribuito a costruire e bisogna anche considerare che il futuro che si pone davanti, rende davvero utopica l’idea che un domani se ne possa ricostruire un altro.

Perciò a chi ha oggi il potere di decidere, il mio monito:

siate attenti, siate saggi.”

 


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