Trent’anni senza Sandro Pertini


Pubblicato il 24 Febbraio 2020

Trent’anni fa se ne andava Sandro Pertini, il presidente più amato dagli italiani. Per un incrocio del destino nello stesso giorno anche se naturalmente in anni diversi il 24 febbraio nasceva Bettino Craxi e nel 1990 moriva il grande Sandro. Socialista sin da giovane fino alla morte, l’immagine di Pertini più esaltante che è entrata nella memoria collettiva è quella dell’esultanza allo Stadio Bernabeu, durante la finale dei Campionati del mondo del 1982, vinti dall’Italia. Pertini è stato un’icona di rettitudine, probità e moralità della nostra storia politica e una figura eroica del nostro novecento che ricoprì in modo indimenticabile la carica di Presidente della Repubblica. Nutrito agli ideali del socialismo riformista di Filippo Turati con cui condivise una profonda amicizia e devozione mosse il suo impegno intransigente e inflessibile nella lotta al regime fascista dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti. Durante la Grande Guerra viene mandato sul fronte dell’Isonzo e gli viene conferita una medaglia d’argento al valor militare.

Alla fine del conflitto si laurea in giurisprudenza e subisce ripetute aggressioni da parte dei fascisti e il suo studio di avvocato viene più volte devastato. Nel 1925 è arrestato per la prima volta per aver diffuso un opuscolo clandestino dal titolo ‘Sotto il barbaro dominio fascista’. Durante l’interrogatorio, davanti al giudice, Pertini rivendica il suo gesto, assumendosi ogni responsabilità. Viene condannato a 8 mesi di carcere e al confino per 5 anni mentre è definito dalla polizia “un avversario irriducibile dell’attuale Regime” . Per fuggire a una nuova cattura si imbarca per la Francia assieme a Turati. La fuga avviene con un motoscafo, che parte da Savona l’11 dicembre 1926 e arriva in Corsica.

In Francia, Pertini svolge vari lavori per mantenersi, dal pulitore di taxi al manovale, dal muratore alla comparsa cinematografica. Torna clandestinamente in Italia con dei documenti falsi. Lavora per riorganizzare la rete del Partito socialista ma viene arrestato il 30 novembre 1929 è condannato dal Tribunale Speciale a 10 anni e 9 mesi di reclusione e a 3 anni di vigilanza speciale. Durante il processo non riconoscendo l’autorità del tribunale e quando viene letta la sentenza scatta in piedi urlando: “Abbasso il fascismo! Viva il socialismo!” Viene trasferito nel carcere dell’Isola di Santo Stefano.

A causa delle sue precarie condizioni di salute, dopo un anno è spostato nel carcere di Turi dove incontra Antonio Gramsci. I suoi amici, preoccupati, convincono la madre ad intervenire. La donna chiede a Mussolini di graziare il figlio e la reazione di Pertini è furibonda nei confronti della madre. Nel 1935, finita di scontare la pena in carcere, è inviato al confino, prima a Ponza e poi a Ventotene. Tre anni dopo gli viene dedicata la tessera del Psi: il suo volto compare accanto a quello di altri due socialisti imprigionati, Rodolfo Morandi e Antonio Pesenti. Viene liberato dal confino il 13 agosto 1943, pochi giorni dopo la caduta di Mussolini, dal governo Badoglio.

Dopo la guerra diventa parlamentare socialista e non si lega mai a nessuna corrente mantenendo sempre l’autonomia e l’ indipendenza di giudizio. Prima diventa Presidente della Camera dei deputati poi nel 1978 a coronamento di una vita stupefacente viene eletto Presidente della Repubblica e così questo darti segna il sorgere di una popolarità mai vista in Italia per un uomo politico. Era un’Italia ancora sconvolta dall’ affaire Moro e dallo scandalo Lockheed con un livello di credibilità molto basso delle istituzioni repubblica e così Sandro Pertini diventò la figura perfetta per ridare autorevolezza e orgoglio ad uno stato che viveva una crisi profonda. Umanizzò le istituzioni e le porto vicino alla gente, vicino al popolo e alla classe lavoratrice. Seppe coniugare sempre il suo ruolo di massima carica istituzionale con quella di socialista semplice, onesto, leale e spontaneo.

Nel 1983 conferì l incarico di formare un governo a Bettino Craxi, socialista, che ricoprì questa carica per quattro anni in un uomo dei periodi migliori della vita sociale ed economica del Paese. Morì a 94 anni, nella sua mansarda di 35 metri quadri che s’affacciava sulla fontana di Trevi e che lui condivideva con la moglie Carla preferendo non abitare al Quirinale ma dove aveva sempre vissuto prima. Resta il ricordo di un grande italiano che ha scritto pagine epiche nella storia della Nazione.

Rosario Sorace.


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