Un Paese fottuto


Pubblicato il 15 Maggio 2020

G.F.C. per Dagospia

Dopo 10 minuti tutto il cibo era sparito. Per anni, l’organizzazione benefica “La Ronda della Solidarietà” ha organizzato cene gratuite due volte alla settimana per i bisognosi di Roma.
Ma se adesso pare che uscire dall’epidemia non sia più un miraggio, si iniziano a sentire gli effetti della sua crisi economica più pesante dalla Seconda Guerra Mondiale con molte persone in coda per chiedere pacchi e cibo per sopravvivere.
 

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Poche sere fa, davanti all’organizzazione una grande folla si è fatta avanti per le 130 buste di cibo distribuite dai volontari, sorvegliati dai lavoratori della Croce Rossa. Un’orda di disperati che avanza tra i quali si scorgono volti che prima della pandemia non si erano mai visti.
 
Tra di loro c’è Anna che ha raccontato ad AFP di aver attraversato la città per mangiare. Non potendo lavorare come addetta alle pulizie durante il lockdown, ha risparmiato sui pasti per pagare l’affitto nel suo appartamento in condivisione. «Di tanto in tanto vengo qui quando la situazione è difficile. Mi vergogno, però».
 
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Anna è solo una delle persone entrate tra i nuovi poveri, una nuova classe che si è sviluppata apparentemente da un giorno all’altro, ma che è solo il frutto di un’economia malata precedente al coronavirus. Un altro milione di persone avrà ora bisogno di assistenza alimentare, portando il numero totale a 3,7 milioni di italiani, secondo Coldiretti che li ha appunto definiti i “nuovi poveri” italiani.
 
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Doppia punizione
Il problema è globale. All’inizio di questo mese, l’organizzazione benefica Oxfam ha stimato che mezzo miliardo di persone in tutto il mondo potrebbe finire in povertà a causa della crisi.
 
Altrove in Europa, la Spagna prevede di distribuire un reddito di base per combattere la nuova povertà, mentre in Gran Bretagna, quasi un milione di persone – 10 volte la media – hanno chiesto in sole due settimane ad aprile gli aiuti statali. Negli Stati Uniti, decine di milioni di persone hanno perso il lavoro.
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Ma per molti in Italia, le difficoltà economiche sembrano una doppia punizione. Più di 30.000 persone sono morte per  il COVID-19, pagando uno dei prezzi più alti della pandemia.  Secondo “la Repubblica” 11,5 milioni di italiani, metà della forza lavoro ufficiale, hanno smesso di percepire entrate e hanno iniziato a chiedere aiuti.
 
Il mese scorso, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha previsto che il 27 percento degli italiani potrebbe finire in povertà se non dovesse percepire tre mesi di reddito.
 
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“Colpisce la tua dignità”
Giuseppe Conte ha detto: «Non vogliamo lasciare indietro nessuno». Ma molti sono rimasti soli a combattere a mani nude contro la crisi. In quelle lunghe code per il pane ci sono ex cuochi, addetti alle pulizie o commessi che hanno perso il lavoro dopo l’imposizione di una quarantena più di due mesi fa. Alcuni non hanno mai avuto un’occupazione fissa, ma si arrangiavano o lavoravano in nero.  Altri sono dei professionisti. Il crollo dei risparmi ha fatto sì che la stragrande maggioranza degli italiani non ha un gruzzolo su cui ripiegare in caso di necessità.
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«Sono mortificata» ha detto Maria Loprete, una vedova di 65 anni, che ha lavorato per 30 anni alla Scala di Milano, prima che l’opera cessasse l’attività a febbraio. Prima della pandemia era una volontaria che aiutava i senzatetto. «Ora mi trovo nella stessa situazione di queste persone che hanno bisogno di aiuto» ha detto.
Coronavirus, l'Italia dei nuovi poveriCORONAVIRUS, L’ITALIA DEI NUOVI POVERI
 
Nell’ex zona industriale di Lambrate a Milano, Loprete cerca aiuto in un supermercato di beneficenza gestito dalla Caritas. L’ente, che opera a livello nazionale, afferma che le richieste di aiuto sono aumentate del 114% ed emette carte con “punti” da utilizzare per beni come olio e zucchero, tonno e pomodori in scatola, pasta o sapone da bucato.
 
Coronavirus, l'Italia dei nuovi poveriCORONAVIRUS, L’ITALIA DEI NUOVI POVERI
Loprete faceva affidamento sul suo stipendio alla Scala per il cibo e sulla pensione per pagare l’affitto.  Ma ora ha dovuto rinunciare anche a piccoli lussi, come comprarsi una maglietta, e sta combattendo con il suo orgoglio. «Ho sempre detto ‘Accidenti, come si sentono quelle persone in coda? Ora lo sento. Colpisce la tua dignità di essere umano».
 
“Le persone sono disperate”
Sempre in coda c’è Antonio DiGregorio, 64 anni, che è stato licenziato un anno fa come cuoco, ma che era riuscito ad arrangiarsi facendo l’autista per anziani e disabili. «Non arrivo alla fine del mese. Anche a metà mese non c’è più nulla» ha detto DiGregorio, che sostenta una figlia di nove anni con i 400 euro mensili che riceve dallo stato. 
 
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La sua preoccupazione più grande ora è l’aumento della concorrenza per i lavori dato dalla massa di disoccupati. Ma è preoccupato per la potenziale bomba sociale pronta a esplodere.  «Le aziende devono riprendere le attività perché se resteremo bloccati un altro mese, avremo una guerra civile. Le persone sono disperate».
 
“Nessuno butta via niente” 
Prima della crisi del coronavirus, l’Italia aveva circa 1,8 milioni di famiglie, o circa cinque milioni di individui, che vivevano in assoluta povertà, incapaci di coprire le necessità di base, secondo i dati Istat del 2018. La maggior parte dei poveri è al sud. Tra gli immigrati il 30% vive il povertà assoluta.
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Circa nove milioni di persone sono considerate in “povertà relativa”, con redditi del 50% o più al di sotto della media nazionale. Prima del lockdown, l’associazione Nonna Roma aiutava 300 famiglie romane con cibo e altri beni.
 
Secondo il presidente Alberto Campailla le richieste sono aumentate a quasi 4.000: «Non sono solo le famiglie in assoluta povertà, ma anche le persone che lavoravano in nero, lavoratori autonomi, giovani professionisti e tanti migranti. Tutte queste persone non hanno lavoro».
 
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Ogni fine settimana, i volontari del gruppo consegnano scatole piene cibo, frutta e verdura. Molti attendono ancora i buoni per la spesa promessi dai comuni.
 
In fila per il pacco c’è anche la colf filippina Marie-Therese che ha raccontato che la maggior parte delle persone nel suo edificio in età lavorativa avevano perso il lavoro. Anche se i tempi sono difficili, ha detto che almeno la sua famiglia era “sicura e non si era ammalata”. Peggio se la passano i senzatetto che continuano a rovistare invano dei bidoni della spazzatura: «Ora non troviamo nulla. Nessuno butta via niente».
 
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