Ungaretti: cinquant’anni dalla scomparsa di un mito della poesia italiana e mondiale

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di Gian Maria Tesei

Giorno 1 giugno si compiono esattamente cinquanta anni dalla morte di uno dei più grandi poeti della storia mondiale , ossia Giuseppe Ungaretti, precursore dell’ermetismo, nonché scrittore, accademico e traduttore, le cui composizioni rimangono a riferimento di intere generazioni di poeti e letterati d’ogni dove.

Nato ad Alessandria d’Egitto, appartiene a quei miti poetici che vengono insegnati a scuola ed inseriti in delle “compagini” assieme ad altri grandi quasi come accade per quelle squadre di calcio passate alla storia che si elencano senza dimenticare alcun elemento che le ha composte.

Per cui se gli esempi letterari precedenti erano Foscolo, Manzoni e Leopardi, seguiti nel periodo successivo da Carducci, Pascoli e D’Annunzio, l’ermetismo è il regno di Montale, Quasimodo (anche Gatti, Luzi),Saba ed Ungaretti , come grande antesignano, con la sua poesia capace di svettare anche nelle vendite di testi, monografie ed antologie dedicate a quei grandi virtuoso dello scrivere.

La sua capacità di cercare nuovi percorsi espressivi, ponendo sempre la parola, con il suo peso di emanazione ed estrinsecazione di significato tracciate nelle sfumature da lui aperte nel contesto dell’intero testo poetico in cui le immergeva, lo rendono un cercatore unico di nuovi rapporti con il linguaggio e la poetica. E sicuramente un creativo il cui percorso umano e letterario non può esaurirsi se non in volumi interi a lui dedicati.

La sua infanzia, segnata dalla prematura perdita del padre, scomparso quando l’artista dello scrivere aveva solo due anni, si contraddistingue per un ambiente informato ad un pluralismo etnico a cui egli seppe abbeverarsi, avendo anche avuto una balia sudanese, una badante proveniente dall’Argentina, una collaboratrice familiare croata. La madre , per la quale scrisse  la poesia intitolata proprio “la madre” nel 1930 (quattro anni dopo il suo decesso), dopo la morte del padre del poeta, operaio presso il canale di Suez, riuscì a mantenere Giuseppe, gestendo il forno di famiglia e consentendo ad Ungaretti di frequentare la prestigiosissima scuola svizzera École Suisse Jacot, permettendogli quindi ulteriormente di arricchirsi del multiculturalismo presente ad Alessandria, città con componenti etniche variegate e con una storia di millenaria importanza.

E già nel corso della sua giovinezza si stimolarono le vene poetiche che lo avrebbero visto affermarsi per le sue capacità di poetrìa e creatività scritturale, seguendo poi in Francia corsi di filosofia e di filologia che sarebbero poi serviti a costruire altre sfumature successivamente emerse dai suoi scritti. Il tutto consentendogli di divenire, inoltre, anche un uomo carico di assoluta modernità che egli alimentò nel corso del suo soggiorno francese attraverso le conoscenze e le amicizie di personalità culturali ed artistiche quali, quello che sarebbe diventato un carissimo amico, ossia Guillaume Apollinaire, poi Giorgio de Chirico, Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Georges Braque, Pablo Picasso, Ardengo Soffici, Amedeo Modigliani, tutti artieri con cui frequentava i caffè parigini delle avanguardie.

Dalle sue prime pubblicazioni del 1915 per la rivista “Lacerba”, seguiranno eventi che segneranno la sua produzione poetica, come l’esperienza da volontario alla grande Guerra(che gli ispirerà la collana di poesia intitolata “ Il porto sepolto”, con uno stile secco, con frasi-parole ed una quasi religione della parola, ed “Allegria di naufragi”, pubblicata nel periodo post-bellico e che, arricchita di altre liriche sarebbe diventata più avanti “Allegria”). Successivamente vi furono il matrimonio con Jeanne Dupoix, l’adesione al fascismo, la conversione al cattolicesimo, la morte del figlio ed i viaggi che hanno scandito la sua vita.

E l’insieme di questi suoi momenti di vita sono il cuore da cui scatena, tra allontanamenti dal paese natio, l’approdo parigino, la vita in Italia e gli altri suoi spostamenti, le perdite ed i lutti (“Il dolore” del 1947, legato alla morte  straziante del figlio e del fratello) il resto della sua fase creativa redazionale, tra momenti di confessione, che già erano emersi negli scritti collegati alla prima guerra mondiale, di esaltazione del silenzio e della parola, delle folgori verbali e delle pause, con uno stile che, a volte aveva già recuperato qualche elemento tradizionale, ma sempre nel solco della sua elaborazione personale e potenza creatrice.

E questa sue peculiarità lo hanno reso sempre più un uomo ammantato dal successo (tanto da avere quasi accarezzato il Nobel per la letteratura, si disse, nel 1954) che lo ha portato, confermandone la grande modernità, ad essere frequentatore abbastanza assiduo della televisione, con la sua abilità nel captare l’interesse di un folto pubblico di spettatori con la sua personale modalità di lettura dei suoi versi.

Sicuramente la sua eredità letteraria è di grande importanza per tantissimi poeti posteriori, forse anche colpiti dalla sua inclinazione a leggere  i sentimenti , ad esempio la tribolazione, l’accoramento ed il dolore proprio, come ha fatto  in “Dolore”, spogliandoli delle vesti delle proprie particolari vicende personali ed eleggerli a sentimenti comuni, d ‘ogni essere umano che attraverso la poesia canta l’anima in versi scritti.

 

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