Unimpresa – Assoesercenti: in Sicilia il 30% delle imprese attualmente chiuse per il Covid rischia di non riaprire più


Pubblicato il 29 Dicembre 2020

Il Presidente Politino: sparite oltre 18.000 imprese in un anno

Sullo scenario dell’economia siciliana si stanno facendo pesantemente sentire gli effetti negativi delle restrizioni imposte dalle misure anti Covid.

Secondo i dati di Infocamere, analizzati dal Centro Studi di Unimpresa, a Dicembre del 2020, mancano all’appello oltre 18.000 imprese. Sono 1.560 le attività turistiche siciliane del settore alberghiero e della ristorazione che hanno chiuso nel 2020 subendo a causa del lockdown e delle numerose restrizioni dovute alla pandemia, il maggior danno economico: si stima un crollo dei consumi di oltre il 40%.

Altro settore colpito duramente è quello del commercio che ha visto più di 6.350 imprese chiudere i battenti ancor prima che si chiudesse l’anno in corso: nemmeno un incremento delle imprese costituite nel 2020 (+ 2.299 rispetto al 2019) è riuscito ad evitare un saldo negativo (-590) nel rapporto natalità-mortalità del settore commercio, con la provincia di Palermo a primeggiare in questa singolare classifica. «Sicuramente è importante far notare – evidenzia il Presidente di Unimpresa Sicilia Salvo Politino – come numerose imprese del commercio si siano riorganizzate, esercitando la propria attività attraverso l’e-commerce». Una inversione di rotta rispetto allo scorso anno è stata registrata dal comprato dell’edilizia, con un saldo positivo, tra imprese iscritte e cessate nel 2020, di +780 unità. Infatti, le imprese edili che hanno chiuso nel 2020 sono in calo di circa il 22% rispetto al 2019, con un incremento di nuove imprese, sempre rispetto allo scorso anno di +753.

Guardando alle singole provincie, al 1° posto troviamo Catania che con 4.577 imprese chiuse rappresenta il 24% delle cessazioni, seguita da Palermo con 4.043 cessazioni e una percentuale di oltre il 21% sul totale e Messina con 2.052 cessazioni e una percentuale di oltre il 10%.

La crisi ha colpito le imprese, ma anche il lavoro dipendente e le assunzioni, tanto che secondo i dati analizzati da Anpal e Unioncamere, la Sicilia, a fronte delle 191.610 unità di personale previste in entrata su tutto il territorio nazionale per il mese di Dicembre, con 10.260 unità rappresenta il 5% e si colloca al 10° posto su base nazionale, con un calo del 31% rispetto allo sesso mese del 2019. Nella configurazione per province, Palermo con 2.940 unità si colloca al 1° posto, seguita da Catania con 2.620 unità, Messina 1.180 e Siracusa 860. In Sicilia, nel mese di Dicembre, secondo le previsioni, le imprese avrebbero dovuto assumere circa 6.360 unità, con un calo del 32% rispetto allo stesso mese del 2019. Tra i settori principali sono state previste 2.270 entrate di personale nel commercio, 1.800 nei servizi alle persone, 1.350 nelle costruzioni, 1.210 nei servizi di trasporto e 970 nei servizi operativi di supporto alle imprese e alle persone.

«I dati fin qui esaminati – afferma il Presidente di Unimpresa – Assoesercenti Sicilia Salvo Politino – evidenziano una situazione ad altissimo rischio per l’economia siciliana».

Le proiezioni per il 2020 elaborate dal Diste identificano in Sicilia un crollo del prodotto interno lordo del 12,5% in termini reali e una perdita in termini monetari di 11,7 miliardi di euro rispetto al 2019. Il PIL per abitante scende a 15.749 euro, 2.250 euro meno dell’anno passato. La pandemia  ha influito negativamente su domanda e produzione, salvaguardando temporaneamente il mercato del lavoro, come diretta conseguenza dei provvedimenti del blocco dei licenziamenti e dei massicci interventi della cassa integrazione.
I consumi delle famiglie scendono dell’11,8% in volume e registrano una perdita su base monetaria di 8,3 miliardi. I consumi per abitante scendono a 12.467 euro, 1.588 euro meno dell’anno prima. Le misure di sostegno all’occupazione e al reddito hanno arginato lievemente la caduta dei consumi, ma non hanno impedito un aumento della povertà.

Il settore dei servizi segna un calo del valore aggiunto del 13,6% causato dalla voragine delle attività collegate a turismo, ristorazione, commercio, attività artistiche e spettacoli. Il comparto degli alberghi e ristorazione è crollato più di tutti (- 46,7%), spinto dalle chiusure di primavera riproposte in autunno: la perdita monetaria è di 1,5 miliardi.

Il commercio segna un crollo del valore aggiunto del 41,4% e un deficit di 4,1 miliardi. Sul mercato del lavoro lo stop ai licenziamenti e la riduzione dei tassi di partecipazione hanno frenato per ora la flessione dell’occupazione a un – 3,2%, e determinato una discesa del tasso di disoccupazione dal 20,0% al 17,0%.

La preoccupazione più seria è che le aziende siciliane non hanno più la liquidità sufficiente per la gestione corrente. Probabilmente riusciranno ad andare avanti solo quelle con importanti riserve di capitale o che riuscirebbero ad accedere al credito bancario tramite il Fondo di Garanzia.                 «Purtroppo – aggiunge il Presidente Politino – i dati della crisi, se pur devastanti, non sono stati ancora compresi. Basti pensare che il 23% delle aziende italiane ha un capitale circolante negativo con livelli di indebitamento eccessivi. A fronte di un calo di fatturato causato dalla pandemia, una perdita di liquidità ormai evidente e i costi superiori agli incassi, è necessario, con urgenza, mettere in campo la politica dei sostegni veri, rapportati alle perdite del periodo pandemia, senza creare false illusioni».                                                           

Al termine della fase di lockdown, lo scenario nel nostro Paese appare piuttosto delineato.                   

La quasi totalità delle PMI Italiane (90%) è stata colpita dalla crisi Covid-19 ed ha alternativamente subito un rallentamento delle attività produttive (- 60%) con una conseguente riduzione dei volumi di business. La maggior parte delle aziende (70%) si trova in difficoltà finanziarie, con problemi di liquidità, dettati da costi parzialmente fissi e flussi di ricavi ridotti o in ritardo, con conseguenti incapacità di far fronte alle spese correnti (e.g. debiti verso i fornitori, pagamento della retribuzione dei propri dipendenti) e necessità immediata di supporto economico per riequilibrare il ciclo del circolante. «Bisogna però fare i conti – prosegue Politino – con un bilancio dello Stato su cui pesa come un macigno il debito pubblico che supera i 2.200 miliardi e su cui si vanno a pagare oltre i 100 miliardi l’anno di interessi.

Il permanere della pandemia fa sì che l’uscita dalla recessione sia incerta nei tempi e possa risultare lenta. Oltre a gestire al meglio la crisi, limitando i danni per la salute dei cittadini e gli effetti negativi sul sistema produttivo, è importante guardare in avanti, al Paese, al sistema economico che vorremmo avere dopo la pandemia e soprattutto alla crescita. Per affrontare una fase di riallocazione dei consumi e della produzione, servono, innanzi tutto, imprese dinamiche che investano, innovino, adattino i propri prodotti a quanto verrà domandato nel mondo del dopo Covid. Servono poi Amministrazioni pubbliche che non ostacolino, ma sostengano questo processo, facilitando la mobilità del lavoro e del capitale, accrescendo la formazione delle risorse umane, coinvolgendo tutte le aree del Paese e le fasce della popolazione. Serve molta capacità progettuale, sia nel settore pubblico che in quello privato. Insomma – conclude Politino – oltre al fondamentale vaccino sanitario, è necessaria una cura ricostituente per l’economia con indennizzi rapportati al calo del fatturato e un utilizzo mirato delle risorse europee».

 


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