“Università Cosa Loro”: Giambattista Scirè su “Il Manifesto”

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Stamattina sul quotidiano il manifesto c’è il mio articolo dal titolo: “Quell’Autonomia che ha trasformato l’università in un fortino feudale”. Ringrazio la direttrice Norma Rangeri per l’ospitalità.
L’articolo espone le proposte di “Trasparenza e Merito” che si inserisce nel dibattito sulla riforma dell’università italiana, avviato alcune settimane fa dallo storico Bevilacqua e poi proseguito con Caruso e Raffini (interventi questi che, seppure sacrosanti nei contenuti, sono stati a mio avviso troppo filosofici, giocati solo sul piano dei massimi sistemi, e quindi velleitari). A dimostrazione del ruolo ormai da assoluta protagonista che l’associazione ha assunto, sulla scena nazionale, in ambito di proposte sull’università. Ricordo le precedenti lettere aperte: “Università: non torniamo allo statuto” al Corriere della Sera (2018); quella al Fatto quotidiano “Un’altra università è possibile” (2019) e quella al Sole24Ore “Università: abbandonare i concorsi è un errore” (2019).
Occorrono assolutamente proposte pragmatiche e concrete di interventi sul piano del reclutamento e della governance degli atenei per una radicale riforma universitaria: multe pesanti per chi abusa, discrezionalità delle commissioni ridotta al minimo, riduzione dei fondi per gli atenei scorretti, una testa un voto (studenti compresi!) a tutte le categorie per le elezioni universitarie. Anche l’attuale elezione dei vertici accademici (oltre al reclutamento) avviene infatti secondo logiche clientelari. Il voto dei docenti strutturati vale di più di quelli a contratto o ricercatori, e la candidatura a rettore non è filtrata da criteri trasparenti di merito.
Vi chiedo, dunque, di appoggiare quanto più possibile, far girare e condividere sui social tra i vostri contatti il contenuto di questo articolo (che copio qui sotto) in modo che possa essere diffuso estesamente tra i cittadini. Perché l’università è un bene comune, che appartiene a tutti, non è proprietà privata di pochi “baroni”.
Ps. Aggiungo anche una bella notizia personale in anteprima: una importante casa editrice nazionale, che conoscete sicuramente per le sue importanti inchieste giornalistiche su mafia, vaticano, sanità etc, mi ha proposto di fare un libro-inchiesta proprio sulla “mala università”, cioè un argomento sul quale credo ormai di essere abbastanza ferrato. Che dire…sono contento, il progetto mi stimola molto intellettualmente e mi terrà impegnato con la promessa, a voi, di fare del mio meglio: argomenti, dati e storie da raccontare, quelle di colleghi e colleghe divenuti ormai amici inseparabili, certo non mi mancheranno.
Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo.
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Quell’Autonomia che ha trasformato l’università in un fortino feudale
di Giambattista Scirè
L’Università italiana è ormai malata da tempo. Non a caso, diversi elementi strutturali indicano come il sistema accademico italiano sia gerarchico, conformista, non trasparente e non competitivo, con barriere all’ingresso per gli esterni rispetto agli interni. Tali barriere diventano sempre più alte quanto più cresce il rango accademico, riconoscendo all’anzianità un peso eccessivo in qualunque decisione. Un’opinione ormai diffusa sul piano internazionale, ma anche tra i cittadini, è il disastro, dovuto al mancato rispetto delle leggi da parte del mondo universitario. La mancanza di integrità accademica inibisce l’accesso ai poveri, diminuisce l’equità dei servizi educativi, indebolisce la mobilità e la coesione sociale. La ragione principale non è attribuibile alla mancanza di moralità dei singoli docenti, ma è dovuta all’eccessiva autonomia concessa agli Atenei. Tutti i mali dell’attuale sistema, infatti, derivano dalla Legge 210/1998, ulteriormente peggiorata dalla Legge 240/2010, la quale oltre a favorire logiche sempre più corporative e spartitorie, ha comportato una scandalosa deriva burocratica-localistica e un inarrestabile abbassamento del livello scientifico e formativo.
I rettori, divenuti veri e propri despoti, di concerto con i direttori dei dipartimenti, determinano i meccanismi di scelta della classe accademica attraverso metodi clientelari e mediante una cooptazione non virtuosa e mascherata da finta selezione pubblica. La pericolosità di tale modello estremo di autonomia emerge soprattutto dalle centinaia di sentenze amministrative e penali che certificano il fallimento di questo sistema universitario. Confortati dalle considerazioni dei giudici, vale la pena di osservare che si tratta di metodi che scardinano alla radice il sistema del pubblico concorso (art. 97 della Costituzione) e il principio dell’imparziale determinazione dei criteri selettivi. Stando così le cose, il reclutamento dei docenti italiani rispetto altri paesi europei, in termini di trasparenza delle regole, valorizzazione del merito, capacità di stimolare la produttività e la qualità attraverso incentivi, ne esce con le ossa rotte. Tuttavia, nonostante tutte queste evidenze, pare che l’Accademia italiana si consideri “legibus solutus”, cioè non vincolata dalle leggi dello Stato italiano (come dimostra la vicenda “Università bandita” catanese).
Il punto cruciale è la distorsione delle procedure di reclutamento quasi sempre pilotate e predeterminate. A tal riguardo, l’associazione “Trasparenza e Merito” ha avanzato proposte chiarissime: ruolo unico della docenza universitaria; cancellazione dei concorsi locali; commissione nazionale sorteggiata; criteri di valutazione con una precisa griglia ministeriale; multe e procedimenti disciplinari per chi commette reati; diminuzione dei fondi ordinari per gli atenei scorretti (non si può demandare tutto alle magistratura ma occorre etica pubblica). Ma il vero nodo da sciogliere rimane comunque la “governance”, il sistema di governo e le regole di controllo degli atenei. In nessun altro Paese al mondo l’Università è pagata dai contribuenti, ma gestita dai soli docenti universitari, secondo un modello autoreferenziale e deresponsabilizzato, senza rendere conto né al Ministero, né agli studenti e alle famiglie. Se negli Usa/UK esiste un equilibrio tra il potere dei docenti, espresso dal Senato accademico, e quello esterno, espressione della società, rappresentata dal “Board of trustees”, nei paesi nord-europei, invece, si è imboccata la strada opposta all’autonomia universitaria, con nomina politica (ministeriale o regionale) dei vertici.
In Italia l’attuale normativa lascia a ogni singola istituzione il compito di stabilire le norme, attraverso il proprio regolamento interno. L’elezione dei vertici e del Rettore avviene, infatti, secondo procedure anti-democratiche, feudali e oligarchiche, in quanto si basa sul meccanismo del “voto ponderato”, che sancisce il diritto di voto con prevalenza assoluta di peso per i docenti strutturati, penalizzando quelli a contratto e i ricercatori che svolgono da precari gran parte dell’attività didattica e di ricerca, il personale tecnico-amministrativo, nucleo fondante dell’attività organizzativa, e soprattutto gli studenti che sono l’asse portante (pagano le tasse!) della vita universitaria. Oltre ad un meccanismo di elezione del Rettore quanto più aperto possibile che preveda il principio di una testa un voto, senza differenziazioni di peso, occorre rendere tale meccanismo di voto corroborato da parametri di merito e competenze specifiche, prevedendo un sistema di pre-requisiti per entrare a far parte della rosa dei candidati a Rettore.
Sarebbe una vera e propria riforma radicale, una rivoluzione che renderebbe l’Università italiana non medievale e gerarchica bensì moderna e democratica.
“il manifesto”
29 ottobre 2020.

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Benanti

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