Università, il “Tempio” della cultura, i gran maestri sotto indagine e gli apprendisti rimangono in silenzio

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di Giacomo Russo, iena post-doc

“Hanno scoperto l’acqua calda” o “é da sempre risaputo”, queste le frasi generalizzate che in questi giorni girano sui social network a commento dell’inchiesta “Università bandita”. Di solito si tratta dei commenti di chi, in un modo o nell’altro, ha avuto a che fare con l’istituzione accademica catanese, da studente o, nel peggior dei casi, da aspirante ricercatore (puntualmente segato dai luminari catanesi). In quest’ultimo caso gli “insider accademici” derubricano la rassegnazione mista a disgusto esternata dagli esclusi come frutto di “invidia”.

Una giustificazione culturale degna dei decoratori di “lape”, che artisticamente scrivevano contro gli iettatori: “La tua invidia è la mia fortuna”. Ma l’eventuale esistenza di “odio sociale” nei confronti dell’élite non è oggetto di questo scritto. Per tutto ciò che riguarda un’analisi approfondita rimandiamo al noto “Istruzione e Mobilità sociale” di Raymond Boudon.

Sbaglia anche chi giudica questo “sistema” come “medievale” o “pre-moderno” poiché risulta difficile immaginare che i docenti di quel tempo avrebbero potuto favorire i propri “familiari” o gli “amici”. I professori erano chiamati a insegnare a chi ne aveva diritto, per privilegio di nascita o di altra natura. Punto. Ma almeno era un sistema che rispecchiava l’ordine sociale del tempo. Oggi invece sarebbe più corretto definire questo sistema come “lottizzazione post ideologica”, visto che si è ampiamente superato il criterio dell’appartenenza politico-partitica che ha caratterizzato l’università italiana per molti anni: potremo dire che molti professori sono passati tranquillamente da Gramsci a Raffaele Lombardo in termini di riferimenti ideologici.

Il problema, al di là delle vicende giudiziarie che dovranno fare il loro corso, è di natura esclusivamente etica: sbaglia anche chi giudica queste pratiche come afferenti al campo della cooptazione come metodo di reclutamento delle èlite. Il fatto che il maestro di una disciplina abbia, debba o possa avere un diritto di prelazione nella scelta dell’allievo è una cosa che va da sé. Ma quelli che emergono dalle carte dell’inchiesta “Università bandita” non sono metodi cooptativi: si tratta di una spartizione a tavolino predeterminata e che viene gestita con metodi “squallidi” tanto per usare le parole del procuratore Zuccaro.

Ma tentiamo di immaginare uno scenario tipo vissuto da qualcuno che, in un particolare momento del suo percorso di formazione universitario, mosso da amore per lo studio, si trovi a volere perseguire una strada “accademica”. Intanto le probabilità di vincere un dottorato di ricerca aumentano se sei sponsorizzato da un maestro, e fin qui non ci sarebbe nulla di male. Ogni tanto riescono a intrufolarsi degli stronzi senza padrini che però non avranno alcuna possibilità di continuare all’interno dell’Ateneo. Nel tempo, con le varie riforme, con il proliferare di insegnamenti inutili nati, si è creata una pletora di “precari” che legittimamente aspirano a un posto.

Poi ci sono tanti professori bravi (normalmente i più brillanti nell’ateneo catanese non ricoprono posti di potere, ovvero non diventeranno mai direttori di dipartimento, perché sono interessati ad altro) che ogni tanto chiedono di poter avere gli strumenti per finanziare la ricerca degli allievi ma che puntualmente non ricevono nulla. I loro allievi continuano a studiare, a fare ricerca, a pubblicare fino a quando lo stesso professore li esorta a cercare altre strade: molti grazie al lavoro svolto gratis e in sordina riescono a prima botta a trovare un post dottorato altrove, molto probabilmente all’estero. E l’unica “raccomandazione” che hanno ricevuto è una lettera di presentazione del loro professore che si rivolge magari a un collega tedesco che non ha mai conosciuto.

Ci sono anche quelli che in silenzio e per anni continuano a sostenere la didattica in maniera determinante (visto che ormai molti corsi di laurea sono diventati veri e propri esamifici) non ricevendo neanche un “gettone di presenza”, mentre vedono bandi vinti da soggetti che per 3 mesi di tutoraggio a un master beccano 20 mila euro! (storia reale).

Il guaio è che chi entra e decide di sottostare a queste dinamiche, in qualche modo si immerge in un sistema che si autoalimenta e difficilmente ha interesse ad alzare la voce o a protestare: o perché è un miracolato e quindi non avrebbe senso battere i pugni sul tavolo invocando meritocrazia, o perché sono veramente in gamba, hanno dedicato gran parte della loro vita a studiare e a stare appresso al “maestro”, in attesa che arrivi il loro momento. Il problema è che il loro momento potrebbe non arrivare mai se continua quest’andazzo.

La vera selezione di tipo elitario avviene forse proprio in questa fase: chi ha le spalle coperte può anche permettersi di “giocare” a fare l’accademico, non percependo alcuna retribuzione anche per molto tempo. Strada non percorribile per un ragazzo o una ragazza di estrazione proletaria. Nonostante questo ci sono e ci sono stati tantissimi che per anni si sono arrangiati a fare lavori secondari, terziari, saltuari, pur di perseguire la strada della ricerca, e molti ci sono riusciti.

Capitolo a parte potrebbe essere dedicato al personale amministrativo dell’ateneo: troviamo una miriade di soggetti che sono stati assunti per virtù dinastica o amorosa (nel caso il parente, l’amante, sia veramente troppo capra per fare il docente lo si è sistemato in amministrazione) creando un esercito di “disoccupati di riserva” come li chiamava Marx. Provate a farvi un giro in alcuni palazzi dell’amministrazione universitaria e vedrete con i vostri occhi un numero impressionante di persone chiuse all’interno delle loro stanze (condizionate) che si fa fatica a capire cosa stiano facendo.

Ma se riusciamo a comprendere il silenzio degli altri docenti, o il senso della supercazzola diramata dal cosiddetto Coordinamento unico di Ateneo (chi sono? L’anonima sequestri?), indirizzata agli studenti, non si riesce a capire il silenzio di chi ha fatto della lotta alla kasta il proprio vessillo politico: uno su tutti il neo eurodeputato grillino Dino Giarrusso, l’ex iena che era precedentemente entrato a far parte dello staff del Ministero dell’Istruzione nientepopodimeno per verificare e controllare il buon andamento delle procedure di selezione di professori e ricercatori nei concorsi pubblici. Ma forse a Bruxelles non leggono i giornali.

 

 

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