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Urbanistica alla catanese
Pubblicato il 22 Giugno 2024
di Carlo Majorana Gravina.
Quando si dice le soddisfazioni! Da un macchinoso affannato articolo della cronista Laura Distefano, apprendiamo che una delle prescrizioni urbanistiche per Catania di Luigi Piccinato (1899-1983), a sessant’anni dall’approvazione e quarantuno dalla morte, è stata adottata dalla malavita catanese.
Catania con l’urbanistica non ha mai avuto felice feeling.
Senza andare troppo lontani nel tempo, già le prescrizioni di Giuseppe Lanza duca di Camastra, inviato per la ricostruzione della città devastata dalle lave del 1669 e 1693, che tracciavano le linee della città illuminista con grandi assi viari, secondo la moda del tempo (i gran boulevard di Parigi), vennero assoggettate ai criteri costruttivi dello sfruttamento massimo dei terreni di proprietà o pertinenza. Sul punto Dario Sanfilippo osservò sardonicamente “all’interno dei riquadri risorse la città arabo-ebraica con le tipiche stradine tortuose”.
Eppure la città apprezzò il Camastra dedicandogli ben due piazze “duca di Camastra” a Picanello e “Lanza” nella zona di sviluppo urbanistico del Novecento.
Sul finire dell’Ottocento, si cimentò sul tema il B.ne Bernardo Gentile Cusa che, assunto in qualità di urbanista dal Comune, tracciò un pregevole “Piano regolatore pel risanamento e per l’ampliamento della città di Catania”, cui molti fanno riferimento ma che non fu mai adottato.
Pochi anni dopo l’unificazione d’Italia, il 26 giugno 1865, viene varata la prima Legge di rilievo urbanistico: la 2359 con il titolo Disciplina sull’espropriazione forzata per pubblica utilità, che superò ed integrò una Legge dello stesso anno relativa ai contenuti dei Regolamenti di ornato e polizia locale.
Ritengo che il Gentile Cusa si ispirò a detta legge.
La legge urbanistica del 1942 (n. 1150 del 17 agosto 1942) istituì la formazione dei Piani Regolatori Generali (PRG), che dovevano interessare l’intero territorio comunale, con la previsione che venissero attuati prioritariamente i Piani Particolareggiati di iniziativa pubblica ed elencava i contenuti per i Regolamenti Edilizi.
Nel 1951, con Legge 1402, si previde l’adozione entro tre mesi un “piano di ricostruzione” che, di proroga in proroga, molti Comuni hanno potuto beneficiare di quel regime particolare fino agli inizi degli anni Ottanta.
Considerato che durante la guerra sul territorio italiano piovevano bombe, è dal secondo dopoguerra che l’Italia fu pervasa dalla “fregola urbanistica”.
Negli anni 1964-67 Catania ebbe sindaco Nino Drago che, ad onta di una laurea in ingegneria, ha manifestato costante e immarcescibile idiosincrasia verso gli urbanisti: per Piccinato mandò a vuoto il prg col trucco di non fare approvarei piani particolareggiati dal Consiglio Comunale (favorendo l’abusivismo), poi mise “a mollo” il progetto del 1969 di Kenzo Tange su Librino, volto all’internazionalizzazione (erano gli anni in cui Catania era detta Milano del Sud).
Nel 1971, Tange inviò a Catania il progetto: una città satellite articolata in dieci nuclei abitativi, ognuno pensato per circa 7.000 abitanti con scuole, uffici, centri sanitari e attività produttive. Una serie di borghi autonomi, delimitati da un doppio anello di strade dalle ampie carreggiate, pensati come collegamenti tra i vari nuclei e il cui cuore comune doveva essere un grande centro polifunzionale, dotato di teatro, pala congressi e museo. Erano previste anche piste verdi pedonali e ciclabili, che avrebbero dovuto ospitare i sottoservizi (gli interventi manutentivi non avrebbero condizionato la vita del quartiere), attraversamenti in sopraelevazione per i pedoni e un enorme parco urbano, attrezzato di impianti sportivi, strutture per il tempo libero e persino un lago artificiale per gli sport acquatici.
L’area a disposizione per la realizzazione del quartiere era 420 ettari (4.200.000 mq) di agrumeti, vigne e pascoli.
“L’ingegnere” affidò il geniale e futuristico progetto alle “cure” di un professionista che consentì la realizzazione di palazzoni alti e anonimi (dell’Istituto case popolari), oggi in totale stato di abbandono, case abusive e immobili occupati da non aventi diritto, a fare da contraltare agli edifici delle cooperative nel rispetto delle linee guida del progettista. Un esempio per tutti: il tristemente noto “Palazzo di cemento” diventato ricettacolo di spazzatura, malaffare e criminalità.
Oltre le dinamiche diverse dall’abitare, Librino offre pochi e spesso carenti servizi civili, mancano i luoghi d’incontro, le piazze attrezzate, i cinema, gli impianti sportivi. Solo parrocchie e associazioni territoriali, offrono insufficienti momenti di aggregazione e attività per i giovani.
Oggi si elogia e blandisce il “mecenate” Antonio Presti che investe in Arte e Bellezza, sperando che le sue iniziative ridiano la dignità di cittadini agli abitanti del quartiere.
Si è molto lontani dalla “città satellite” di Tange. Nel verde da lui previsto e progettato si sarebbero potute fare altre cose, ma perché premiare ed elogiare un urbanista profetico e visionario che il mondo ricorda per la ricostruzione di Hiroshima?
Assente dalla scena anche l’altro grande ente territoriale (l’Università degli Studi), oggi o Presti o niente o il peggio.
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