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Via D’Amelio. A pochi giorni dalle nuove indagini, ucciso il boss Giuseppe Calascibetta. Era stato condannato e poi assolto per l’attentato a Paolo Borsellino
Pubblicato il 21 Settembre 2011
E’ possibile che sia solo un caso? Neanche il tempo di apprendere delle nuove indagini dei magistrati di Caltanissetta sui despistaggi relativi all’attentato di via D’Amelio, per i quali sono imputati anche uomini dello “Stato”, che viene freddato un capomafia di primo livello, un boss che era prima stato condannato e poi assolto proprio in riferimento alla strage di via D’Amelio nella quale persero la vita l’eroe Paolo Borsellino e alcuni agenti della sua scorta.
Giuseppe Calascibetta, 60 anni, ex capo mandamento della cosca di Santa Maria Di Gesù, era stato condannato a dieci anni, e poi assolto, per la strage in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino.
Chissà cosa poteva ancora dire sui fatti di via D’Amelio e chissà se ad ucciderlo sono stati veramente i mafiosi o … meglio non pensarci perchè vengono i brividi al solo tentare di scriverlo.
L’unica cosa certa è che l’omicidio segue di qualche giorno la clamorosa svolta nelle indagini sull’eccidio di via d’Amelio, svolta che ha portato la Procura di Caltanissetta a chiedere la revisione di uno dei processi celebrati sulla strage: quello a cui aveva contribuito il pentito, rivelatosi poi falso, Vincenzo Scarantino. E proprio Scarantino era stato uno degli accusatori di Calascibetta nella cui villa, durante un summit di mafia, il boss Totò Riina avrebbe comunicato a Cosa nostra la decisione di assassinare il giudice-eroe Paolo Borsellino.
Alla riunione segreta, che si sarebbe svolta i primi di luglio del ’92, avrebbe partecipato il gotha della mafia tra cui Totò Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Francesco Tagliavia, Giuseppe Graviano, Giuseppe La Mattina, Salvatore Biondino, i fratelli Natale ed Antonino Gambino, Cosimo Vernengo e, raccontò Scarantino, altre 4 o 5 delle quali non gli furono precisate le generalità. Calascibetta, incastrato da quelle accuse, fu sottoposto a un drammatico confronto con Scarantino.
Scarcerato tre anni fa dopo avere scontato la pena, era sottoposto alla sorveglianza speciale, una misura che comporta come sanzione accessoria la sospensione della patente. Per questo, per spostarsi, usava una microcar, un veicolo che può essere guidato anche dai minorenni. E propio in quella minicar è stato rinvenuto morto, a pochi metri dalla casa del boss, in via Bagnera, alla periferia della città.
I killer gli hanno sparato quattro o cinque colpi di pistola in faccia colpendolo all’orecchio e sfigurandogli il volto.
Un nuovo mistero si aggiunge quindi a quelli che in tutti questi anni hanno accompagnato gli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quello che ci chiediamo è se Calascibetta sapeva qualcosa in merito ai despistaggi e soprattutto sulla collusione tra pezzi deviati dello Stato e la mafia, possibili intese di cui ormai si parla da decenni.
E poi non può più essere solo un caso che in tutte le stragi in cui lo “Stato” c’entra qualcosa, per azione o omissione, seguono una serie di morti sospette, di persone trovate impiccate o in genere suicidatesi, personaggi che guardacaso potevano sapere e rivelare particolari ignoti. E’ stato così anche per Ustica, dove dopo decenni di depistaggi e morti misteriose ancora nessuno ha pagato.
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