comunicato dalla questura di Catania. Esausto della sua dipendenza dal crack, un catanese di 21 anni si è autodenunciato alla Polizia di Stato, rivelando di aver rubato, il giorno prima, un’auto nel parcheggio di un supermercato. Il 21enne si è regolarmente presentato nei locali del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Librino per adempiere alle prescrizioni […]
Viabilità, Trasporti e…le occasioni mancate della Sicilia
Pubblicato il 21 Aprile 2015
di Antonio G. Pesce
Per un Ponte che non si è fatto, uno che è crollato. Così, più che in pareggio, finisce che perdiamo. E perdiamo la faccia. E qualcuno, in tutta questa storia del viadotto che ha tagliato in due la Sicilia, ha dimostrato di averci già perduto il senno.
La tiritera la ricordiamo tutti: il Ponte sullo Stretto non si deve fare. Tre, in soldoni, le motivazioni. La prima era di carattere ambientale, perché, ormai, gli esseri umani valgono talmente poco – i siciliani soprattutto – che manco tra gli animali li può rubricare. Infatti, la questione ambientale era legata ad uno stormo di uccelli migratori, che rischiavano di rompersi le corna su qualche pilastro, e ad un paio di banchi di pesce, che ne trovi di più alla pescheria di Catania. Nemmeno a parlarne di quattro milioni e mezzo di cittadini tagliati fuori dal ‘Continente’.
Poi, c’era la questione della mafia, che sicuramente si sarebbe infiltrata nella costruzione del Ponte, e quindi…. e quindi conviene far evacuare Roma, chiudere l’Expo prima che cominci, e sprangare mezza Italia del Nord, dove ci sono i picciuli e non la fame, ormai divenuta l’unica antimafia credibile. Infine – rullo di tamburi – la scusa di tutte le scuse: spendere quei soldi per costruire strade e migliorare le ferrovie. A parte il fatto che buona parte del Ponte andava costruito con denaro di privati, che ne avrebbero avuto in cambio il diritto di sfruttarne il pedaggio, dei restanti fondi, che la sinistra prometteva per migliorare la viabilità sicula, non è rimasta manco l’ombra, che se n’è juta prima che tutto crollasse. In cambio, ci ha lasciato grandi geni, che fanno voli pindarici.
Volo, appunto. Ora, io dico, se uno è siciliano, è per sua natura scemo, altrimenti, visto quante gliene fanno e gliene dicono, dovrebbe far saltare il banco e tutte le carte. Ma proprio uno deve essersi rimminchianuto per credere sensata la trovata dell’aereo come spola tra Palermo e Catania. Dico, ma ci prendono per minchioni? O vogliamo coprire, per caso, la più grossa di tutte le vergogne dell’Italia repubblicana? Un volo! – due ore all’aeroporto di un capoluogo, e non meno di mezz’ora di giro giro tondo attorno l’Isola per atterrare nell’altro. E per cosa? per duecento chilometri di distanza, divenuti un abisso a causa dell’incuria.
Per giunta, c’hanno messo un treno un po’ più decente: il Minuetto. Finalmente, Trenitalia ci ha degnati della decenza! Una soluzione c’era, allora, per riunire i due poli della Trinacria, ma s’è dovuto far notte. Impiegheremo sempre troppo – due ore e quarantacinque minuti, ma vuoi mettere con le cinque e coccia precedenti? Pian piano, entreremo anche noi nella modernità. Frattanto, abbiamo gli asinelli, come ha dimostrato la manifestazione dei sindaci dei paesi disagiati. Dicono che conviene utilizzarli. Lo dicono perché hanno la liscia. Io, fossi in loro, non ci scherzerei troppo: la Sicilia non s’è mai fatta mancare gli asini. E vedi come s’è ridotta.
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