Marco Polo dice all’imperatore dei tartari che delle città “non godi le sette o settanta sette meraviglie, ma la risposta che dà alla tua domanda”. La città realizzata è quella che sa rispondere alle domande e ai desideri dei cittadini. Da troppo tempo penso che a rendere Catania così brutta siano state proprio i desideri “ tossici e egoistici” dei suoi cittadini, quel “ particulare” che è entrato in circolo nella mente di ogni catanese, quasi come se fosse una marchio di fabbrica. Qui e subito rimarco la mia teoria del “ Leviatano”, mostro fatto di accordi tra le parti sociali, economiche e politiche allo scopo di soddisfare desideri dietro la cessione del consenso. Per i greci era la polis il centro di ogni cosa, mentre per i romani era il cives, il cittadino. Nelle città contemporanee cittadino e città si incontrano nel desiderio che i primi hanno della seconda. Il rapporto tra città e desiderio è racchiuso nel concetto di città “ felix”, nell’accezione di “ realizzata”, che dà Italo Calvino, cioè quella capace di “ riassumere e riflettere tutte le città ideali”. Catania non si è mai sforzata di inseguire questa utopia, ma al contrario l’ha allontanata da sé per concedersi una sua personalissima “ distopia”, la distopia dell’ arancino e della granita( non contano i servizi che la città offre, quanto le specialità che la caratterizzano). Il catanese, ad esempio, non ha desideri di “ luoghi”, ma di “spazi”, capaci di soddisfare il “ particulare”. La differenza tra luogo e spazio sta nel modo di intendere il concetto di convivialità, bellezza, e spettacolo. Il “luogo” produce significati, è narrativo e leggibile. É “ il luogo” ad essere simbolo di discussione, convivialità, confronto, è “ il luogo” che permette una relazione tra città e cittadino sulla base di regole virtuose e comportamenti regolati Il cittadino diventa città nel “ luogo” e non nello spazio. Il “luogo” esprime una identità attraverso una narrazione leggibile, attraverso la cura delle pietre dei suoi palazzi o delle sue piazze ; lo “ spazio” è espressione di abbandono, incuria, inefficienza; “ spazi” sono gli slarghi di Corso Martiri della Libertà, o di viale Sanzio. Il “luogo” esprime il concetto di un “noi” simbolico; lo spazio quello dell’Io egoista. “ Luogo” è tale se tematizzato. La Main street disneyniana esprime ordine, bellezza, misura, organicità, sinergia e sicurezza. Gotham city è il suo opposto: esprime disordine, bruttezza, egoismi, disorganicità, corruzione ed insicurezza. Main street è “luogo”, Gotham city è “spazio”. Catania non ha saputo tematizzare i suoi luoghi, ha abbandonato all’incuria i suoi spazi e non ha saputo trasformare l’ ambiente in arte. Non è attrattiva Catania, non è quello che qualcuno definirebbe “ città spettacolo”, quella che crea eventi e non dorme mai, quella che produce fascino e divertimento attraverso la valorizzazione dei luoghi, invece di produrre angoscia e bruttezza attraverso i suoi spazi abbandonati o concessi alle brame di sordidi interessi. Spazi sono i mercati nel centro città, dove gli operatori regolari e abusivi abbandonano montagne di rifiuti e dove il cattivo odore raggiunge picchi indescrivibili; spazi sono Corso Martiri e viale Sanzio, che da oltre 70 anni chiedono di avere un futuro che non sia quella rappresentazione perfetta di declino e degrado che sono ancora oggi. Catania è diventata tutta un grande spazio e ha permesso che “luoghi” diventassero i centri commerciali sorti attorno ad essa, che sono un surrogato della città, la messa in opera di tutto ciò che la città non riesce a garantire ai suoi cittadini. I “ Portali”, “ Le porte di Catania”, “ Centro Sicilia”, eccetera eccetera, rispondono alle domande e ai desideri dei consumatori( il cittadino violando la membrana dei santuari del commercio, diventa consumatore), mentre Catania non sa dare neanche una risposta concreta ai suoi cittadini, che non sia caos, disordine, insicurezza e bruttezza. I Centri commerciali si tematizzano ed è per questo che diventano “luoghi”, Catania si abbandona e rimane “spazio”, come Carice, altra “Città invisibile”, che è “ un tramestio di carabattole sbrecciate, male assortite , fuori uso”. Catania è un inferno, diciamocelo e smettiamola con la retorica dell’arancino e della granita. La città è realizzata se offre servizi e non pietanze. Quando penso al suo futuro, e concludo questo mio sfogo sulla mia città durato quattro puntate, mi viene in mente la chiusa di un meraviglioso libro: “ Due modi ci sono per noi per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”. Speriamo di cavarcela.
Gianni Coppola.
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