Il 18 maggio 2020 regala i sessanta anni di un grande protagonista del tennis mondiale nonché il più vincente tennista francese di tutti i tempi, ossia il mitico Yannick Noah, che ha svolto la sua attività di artista della racchetta fino al 1991, ritirandosi a soli 31 anni e caratterizzandosi anche per una significativa carriera canora e per il suo impegno per l’egualitarismo tra i popoli e contro il razzismo, tutte caratteristiche che lo hanno reso leggendario nel mondo sportivo e non solo.
Personaggio dotato di estro dentro e fuori dal campo, è rimsto inconfondibile con le sue mitiche treccine ondeggianti negli agoni tennistici, con uno stile ed una tecnica spettacolari, fatti di fantasia ed imprevedibilità, slice di rovescio ed un importante gioco a rete. Così come significativo ed indimenticabile “il colpo alla Noah”( oggi chiamato tweener e che egli mutuò da Guillermo Vilas) consistente nel colpire in mezzo alle gambe con la racchetta la pallina, con spalle a rete e correndo verso fondocampo, peraltro colpo ripreso da Federer nel 2009.
È stato il secondo tennista di colore a vincere un trofeo del grande Slam nel 1983 al Roland Garros dopo Arthur Ashe ( che vinse tra il 1968 ed il 1975 un USA Open, un Australian Open ed un torneo di Wimbledon e che si distinse anche per azioni filantropiche e per il supporto al volontariato ). Proprio palleggiando con quest’ultimo nel 1972 a Yaoundé, in Camerun, comprese maggiormente il dono di cui disponeva, quasi raccogliendo l’eredità del tennista statunitense, ritornando poi in Francia ( nazione della madre e luogo dove è nato lo stesso tennista) per formarsi tennisticamente, successivamente al periodo infantile vissuto in Camerun, paese d’origine del padre, peraltro ex- calciatore, in una famiglia di sportivi che in seguito si arricchirà del talento cestistico di uno dei cinque figli di Yannich , Joakim, giocatore di Basket NBA dal 2007 nel ruolo di centro( squadra attuale : Los Angeles Clippers).
Dopo aver fatto incetta ( ben undici ) di trofei giovanili, tra cui spicca un Wimbledon juniores nel 1977, inaugura una carriera che lo porterà a trionfare nei tornei ATP ben 13 volte in doppio ( best ranking: 1° posto nel 1985), con la perla del 1984 al Roland Garros in coppia con Hernry Leconte , e 23 volte in singolare (miglior classifica: terzo posto nel 1986) , con l’acme raggiunto con Il Roland Garros vinto nel 1983 sconfiggendo, da enfant du pays, in finale il coriaceo campione in carica svedese Mats Vilander per 6-2,7-5,7-6.
Ed è proprio il momento più alto della sua carriera sportiva che segna invece un incrinarsi del suo equilibrio psicologico tale da portarlo ad un tentativo di suicido, che, fortunatamente, non è andato a buon fine. Nel cercare di darsi una spiegazione di quei dolorosi momenti Il tennista di Sedan ha asserito che ama la gente ed i piccoli e semplici piaceri della vita e come la gloria sottragga parte della semplicità. “Per me una bella giornata è alzarsi al mattino sedersi magari a un tavolo, leggere un libro e andare dal fornaio a incontrare la gente parlarci, essere semplicemente spettatori della vita e invece quando si ha successo si diventa attore più che spettatore. Gli altri cominciano a osservarti a giudicarti. Io invece amo essere uno spettatore, osservare gli altri e trarre qualcosa da questa esperienza”.
La sua tenacia gli ha consentito comunque di ottenere risultati importanti, forse anche inferiori al suo talento effettivo, ed anche rivestendo nell’ambito sportivo altri ruoli dopo il ritiro dall’attività agonistica, anche come consulente psicologico della tennista Amélie Mauresmo e della nazionale camerunese di calcio , e soprattutto come capitano non giocatore della compagine francese ditennis nella Coppa Davis, trofeo che gli era sfuggito da giocatore nella finale del 1982 persa con gli USA per 4-1 e che invece ha festeggiato per ben tre volte nel ruolo di allenatore nel 1991, 1996, 2017 ( decima coppa per la Francia)affermandosi nel 1997 , nel medesimo ruolo, anche nella Confederation Cup, trofeo per nazioni, declinato al femminile, equivalente alla Coppa Davis.
Sul finire della sua carriera d’atleta la passione per la musica reggae( e la chitarra) ha assunto un ruolo sempre più importante nella sua vita, oltreché quasi terapico per le sue problematiche personali, tanto da consentire a Noah di realizzare, finora, ben 10 tra album e dischi in una discografia che vide il suo primo successo con “Saga Africa” nel 1991 dell’album” Black and What e che spesso è stata incentrata sui temi del riscaldamento globale, seguendo la sua personalità che lo ha portato anche ad opporsi al doping ed a proporre sempre l’uguaglianza tra i popoli come valore fondante della vita umana.
Gian Maria Tesei.
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